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Ansia

Fibromialgia: quando il dolore è nella mente, ma è il corpo a sentirlo

13 Dicembre 2021 | a cura di Alessandro Rotondo

Siamo abituati a pensare che il dolore origini dal corpo in seguito a uno stimolo lesivo da cui difenderci. Eppure, la travagliata storia del termine fibromialgia e dei criteri diagnostici per definirla, suggerisce che il dolore può nascere anche dal cervello, senza essere generato da alcuno stimolo lesivo esterno (ad esempio, una martellata) o interno al corpo (come un processo infiammatorio che colpisca un muscolo, un’articolazione o un organo interno).

Ma andiamo con ordine.

Cos’è la fibromialgia

La fibromialgia è un disturbo cronico caratterizzato da dolore muscolo-scheletrico persistente e diffuso, dovuto a una ipersensibilità agli stimoli dolorosi secondari a una riduzione della soglia del dolore1.

A questo si aggiungono stanchezza cronica, insonnia, cefalea e rigidità mattutina. Per non parlare della cosiddetta “fybrofog” o nebbia da fibrosi, cioè la sensazione disentirsi nella nebbia”, caratterizzata da disturbi della memoria, confusione, deficit dell’attenzione e della concentrazione, i quali, specie nei pazienti più anziani, possono far pensare a iniziale deterioramento cerebrale¹. Per finire, depressione e disturbi d’ansiasono molto frequenti nel paziente fibromialgico e, non solo sono connaturati nella patologia, ma ne rappresentano una causa importante di aggravamento. Si crea, infatti, un circolo vizioso nel quale il dolore induce sintomi psichiatrici e viceversa2 .

La fibromialgia è un disturbo frequente. Colpisce 1,5-2 milioni di italiani, prevalentemente donne (rapporto donne/uomini 9:1), anche se recenti studi, basati su criteri di valutazione più moderni, hanno indicato che gli uomini ne soffrono molto più frequentemente di quanto ritenuto in precedenza (rapporto donne/uomini 3:1)1,3.

Da dove origina il dolore?

Il termine fibromialgia è stato coniato nel 1976 da Hench4 e deriva dal latino “fibra”, tessuto fibroso, coniugato con i termini greci “mio”,muscolo, e “algos”, dolore. Un dolore del tessuto fibroso e muscolare” dunque, che Hench definì come una forma di reumatismo non articolare caratterizzato dall’assenza di un danno infiammatorio specifico. Insomma, il dolore fibromialgico colpisce i muscoli e il tessuto fibroso che li circonda in assenza di danni diagnosticabili di queste strutture.

Quindi, la cronica e diffusa percezione di dolore tipica della fibromialgia deriva da una sensibilità dolorosa patologica a stimoli che normalmente non lo sono. È il risultato di un’iperattività dei circuiti cerebrali preposti alla percezione del dolore, accompagnata da ridotta funzionalità di quelli che, invece, ne inibiscono la trasmissione al cervello. In pratica, il cervello “sente” il dolore in assenza di stimoli nocivi reali che lo provochino: è come se lo inventasse!2

Ancora oggi le cause di questa sindrome cronica non sono chiare. Si ritiene che la fibromialgia sia la conseguenza di una complessa interazione fra alterazioni funzionali e metaboliche del sistema muscolo-scheletrico e disfunzioni dei meccanismi cerebrali che regolano la percezione del dolore e il ritmo del sonno6.

Viene ipotizzata una predisposizione familiare che, associata a eventi ambientali scatenanti, come traumi fisici o psichici, può determinare l’insorgenza del disturbo. Spesso, la fibromialgia si associa ad altre condizioni cliniche come ad esempio malattie reumatiche e disturbi mentali come ansia e depressione che possono peggiorare i sintomi. Il fatto che molti pazienti fibromialgici lamentino ansia e depressione unita alla mancanza di dati oggettivi provenienti da esami strumentali e indagini di laboratorio specifici per la diagnosi di fibromialgia, ha portato, in molti casi, a formulare la diagnosi di un non chiaro disturbo psicosomatico.

È difficile, infatti, stabilire la precisa relazione di causa ed effetto tra sintomi “psicologici”, quali ansia e depressione e dolore cronico, tipico della fibromialgia, in quanto i primi potrebbero rappresentare sia una causa che una conseguenza del dolore (come si verifica di frequente nelle persone affette da dolore cronico).

Sintomi di una patologia che solo all’apparenza è uguale a tante altre

Nonostante la sua grande frequenza e l’impatto sulla salute pubblica che ne deriva, la sua diagnosi, come già chiarito, è complessa e ancora non ben definita, così come è ancora oggetto di dibattito quali debbano essere gli specialisti competenti per la diagnosi e la terapia del disturbo.

Abbiamo visto che la fibromialgia si manifesta con sintomi simili a diverse altre patologie, soprattutto reumatiche, motivo per cui non viene sempre riconosciuta come tale. A complicare la diagnosi, il fatto che, pur in presenza di dolore diffuso percepito e riferito dal paziente e nonostante accurate indagini cliniche, non si osservano alterazioni metaboliche e anatomiche di rilievo, tanto che i fibromialgici vengono spesso erroneamente etichettati come ipocondriaci o affetti da malattie infiammatorie non ben definite.

Le conseguenze di tutto questo, sono assenza di terapia o, ancora peggio, terapie non adeguate o addirittura potenzialmente nocive. Un esempio per tutti: il cortisone, terapia elettiva delle malattie reumatiche, può determinare un peggioramento dei sintomi fibromialgici.

Una diagnosi di esclusione: il giusto team di professionisti

Pertanto, l’incertezza sui meccanismi fisiopatologici che la determinano rende ancora oggi la fibromialgia una diagnosi di esclusione, da affrontare con un approccio multidisciplinare.

Nei centri ospedalieri più avanzati per il trattamento della fibromialgia, l’equipe include reumatologi, psichiatri e psicologi.

È compito precipuo dello specialista in reumatologia escludere che il dolore non sia solo conseguenza di malattie reumatiche e metaboliche (che possono, peraltro, associarsi alla fibromialgia). Una volta che il reumatologo ha confermato la diagnosi di fibromialgia, deve essere affidata al lavoro congiunto dello psichiatra e dello psicoterapeuta la strategia terapeutica “integrata” del disturbo.

Vediamo adesso in dettaglio il ruolo di ciascun professionista nella diagnosi e nel trattamento della fibromialgia.

Il ruolo del reumatologo: escludere patologie simili alla fibromialgia.

Come abbiamo detto, il reumatologo deve innanzitutto ESCLUDERE che i sintomi lamentati dal paziente siano solo conseguenza delle tante malattie reumatiche, su base infiammatoria, facilmente confondibili con la fibromialgia (e che, a complicare le cose, possono coesistere con essa!). Le connettiviti, la polimialgia reumatica, le artriti croniche, la sindrome miofasciale, solo per citare quelle più frequenti. L’assenza di riscontri obiettivi in tal senso, supportata dalla valutazione clinica e da specifici esami di laboratorio, permette di spostare l’attenzione sulla presenza di un’eventuale sindrome fibromialgica.

Il dolore, in quanto elemento predominante della patologia, è ovviamente il sintomo principale da valutare.

Il dolore fibromialgico è diffuso in tutto il corpo e può variare di localizzazione e di intensità nei diversi soggetti, ma addirittura nella stessa persona da un giorno all’altro.  È spesso urente (i pazienti si sentono “bruciare”) e associato a contratture muscolari. In alcuni casi, è così intenso da interferire con le normali attività della vita quotidiana: persino lavarsi e vestirsi possono diventare un supplizio.

Negli anni ’90 del secolo scorso, per la diagnosi di fibromialgia, si è data grande importanza, oltre al dolore diffuso riferito dai pazienti, alla presenza di dolorabilità (cioè dolore alla palpazione digitale) per un minimo di tre mesi in almeno 11 su 18 aree specifiche del corpo, chiamate “tender points”, (figura).

Sebbene vengano ancora universalmente utilizzati nella diagnosi di fibromialgia, il dolore diffuso e i tender points rappresentano solo una parte della complessità sintomatologica della fibromialgia di cui abbiamo già discusso.

Per una diagnosi che colga in modo più completo le manifestazioni della malattia sono stati stabiliti, fra il 2010 e il 2013, nuovi criteri per la diagnosi di fibromialgia2,3,5. Essi non richiedono necessariamente l’esame dei “tender points”. La diagnosi è essenzialmente clinica e si basa sulla presenza di sintomi di frequente riscontro nella fibromialgia, come la stanchezza cronica, i disturbi di tipo cognitivo, l’insonnia, i sintomi psicologici e le difficoltà nello svolgere le normali attività della vita quotidiana. A tal proposito sono stati elaborati dei questionari che possono essere compilati dai pazienti stessi e che permettono di valutare sia l’intensità del dolore, attraverso l’“indice di dolore diffuso” (Widespread Pain Index, WPI), sia la gravità delle altre manifestazioni cliniche caratteristiche della fibromialgia misurate con la “scala di gravità dei sintomi”(Symptom Severity Scale).

Il ruolo dello psichiatra: gestire la terapia farmacologica

Come abbiamo visto, l’elemento chiave nella genesi della fibromialgica è una ridotta soglia di tolleranza al dolore. All’origine di tale sindrome contribuirebbero sia fattori biologici (genetica, una bassa soglia del dolore, alterazioni neuroendocrine, cambiamenti ormonali e anomalie nel sonno, il sesso) sia fattori psicologici e socioculturali6.

Numerose situazioni ambientali, in grado di determinare ansia e stress, sono state chiamate in causa come possibili fattori scatenanti la malattia, conseguenza di un’alterata percezione a livello del sistema nervoso centrale. È noto che depressione e ansia si associano alla fibromialgia nel 60% dei casi, anche se non è ancora chiaro se siano causa, concausa o conseguenza del dolore2,6. Per non parlare dei disturbi del sonnoche sono una caratteristica costante e, forse, una causa scatenante della fibromialgia6.

Gli studi indicano che molti farmaci antidepressivi, in particolare gli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, sono efficaci nel trattamento di questi quadri psicopatologici, sia per un’azione diretta sulla percezione del dolore che per la loro capacità di alleviare i sintomi correlati (ansia, tensione, depressione). Oltre a questi, anche alcuni farmaci antiepilettici (in particolare il pregabalin) si sono rivelati utili per il trattamento.

Al contrario, con l’esclusione dei miorilassanti, i tipici farmaci reumatologici quali antinfiammatori non steroidei (tipo aspirina e ibuprofene, per citare i più comuni) e analgesici oppiacei non hanno mostrato particolare efficacia, mentre i cortisonici sono addirittura controindicati, perché possono peggiorare i sintomi fibromialgici6.

L’intervento dello psichiatra diventa, dunque, fondamentale sia per la diagnosi dei sintomi dell’umore e di ansia associati al dolore, sia per una gestione professionale della terapia antidepressiva, essendo l’unico specialista che ha reale conoscenza ed esperienza nel suo utilizzo.

Il ruolo dello psicologo: strategie per affrontare il dolore.

Un pensiero buddista dice:

"Il dolore è inevitabile, la sofferenza è un’opzione. Tutto quello che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato; è fondato nei nostri pensieri ed è fatto dei nostri pensieri."

Tendiamo a pensare che la nostra vita dipenda dagli eventi, positivi e negativi, che viviamo. In realtà, quello che è veramente importante è la nostra reazione, il nostro atteggiamento, a quello che viviamo. Solo ciò a cui conferiamo importanza può farci del male.

Pertanto, se riusciamo a slegarci emotivamente dai nostri problemi e a vedere le cose secondo un’altra prospettiva, possiamo evitare inutili sofferenze e anche il dolore può diventare tollerabile.

Su queste basi, è stata creata una “psicologia della fibromialgia” improntata a una maggior consapevolezza e accettazione della malattia attraverso tecniche psicoterapiche utili ad affrontare il dolore, nonché la depressione e l’ansia a esso correlate, modificando letteralmente il rapporto del paziente con i propri stati dolorosi, con un miglioramento sostanziale della qualità della vita.

Come esaurientemente trattato nel volume “Vivere con la fibromialgia. Strategie psicologiche per affrontare il dolore cronico” di Laura Marchi e Ciro Conversano5, la mindfulness, integrata con la terapia farmacologica, è tra gli approcci psicoterapici più promettenti nella fibromialgia.

La mindfulness si pone l’obiettivo di insegnare abilità che consentano alle persone di modificare il rapporto con i propri stati interni negativi (emozioni, pensieri, sensazioni fisiche), in modo che questi non rappresentino più un limite per la persona a vivere la propria vita in modo soddisfacente. Piuttosto che cercare di eliminare, ridurre, evitare ciò che è spiacevole ma comunque inevitabile, come è il dolore nelle condizioni croniche, l’obiettivo è favorire un atteggiamento di accettazione radicale, funzionale ad investire energie e risorse verso ciò che è utile per l’individuo.

Ulteriori strategie

Quando, grazie agli approcci terapeutici descritti, il dolore fibromialgico diventa “tollerabile”, può essere utile associare una terapia fisica in grado di “riattivare” un corpo logorato dal dolore. Le attività fisiche consigliate sono quelle “dolci”, che non comportino sforzi eccessivi e sostenuti, come lo stretching e le attività aerobiche da incrementare gradualmente (camminare, andare in bicicletta, nuotare), lo yoga, il pilates, i massaggi, allo scopo di aumentare l’elasticità tendineo-fasciale e la resistenza muscolare in modo da controllare il dolore7.

Anche la dieta sembra influenzare l’ipersensibilità al dolore caratteristica della fibromialgia8. Eccessi di glutammato e aspartato, in quanto facilitano la trasmissione del dolore, andrebbero evitati. Quindi, limitare la massimo i dolcificanti (ampiamente presenti in molte bevande, come le bibite gassate e cibi), i cibi contenenti glutammato come “esaltatore della sapidità”, i formaggi stagionati e la salsa di soia. Al contrario, alcuni integratori potrebbero essere utili a ridurre la percezione del dolore: magnesio, zinco, vitamine del gruppo B (contenuta in carni, soprattutto bianche, pesce, spinaci, patate e legumi), vitamine C ed E (ampiamente presenti in frutta e verdura), acidi grassi omega tre.

Come convivere con la fibromialgia

Anche se la diagnosi non è ancora facile e non esiste una terapia definitiva, con la fibromialgia si può vivere e convivere, raggiungendo anche livelli apprezzabili di qualità della vita.

Ma perché questo avvenga, occorre avere una sufficiente informazione e consapevolezza del problema, in modo da evitare dolorose (è il caso di dirlo!) perdite di tempo e rivolgersi a specialisti in grado di escludere altre patologie e di affrontare la terapia con un approccio integrato: medico, psicologico, fisioterapico e dietetico.

Bibliografia

  1. Arnold L.M. et al. AAPT Diagnostic Criteria for Fibromyalgia. The Journal of Pain, Vol 20, No 6 (June), 2019: pp 611−628.
  2. Stahl’s Essential Psychopharmacology, IV Edition, 2013. pgg 420-443.
  3. Häuser Fitzcharles M.A. Facts and myths pertaining to fibromyalgia. Dialogues in Clinical Neuroscience – Vol 20 . No. 1 . 2018: pp 52-62.
  4. Hench P.K. Nonarticular rheumatism, 22nd rheumatism review: review of the American and English literature for the years 1973 and 1974. Arthritis Rheumatol 1976, 19, 1081-1089.
  5. Conversano C., Marchi L. Vivere con la fibromialgia. Strategie psicologiche per affrontare il dolore cronico, Erickson, 2018.
  6. Siracusa R. et al.Fibromyalgia: Pathogenesis, Mechanisms, Diagnosis and Treatment Options Update.Int. J. Mol. Sci. 2021, 22, 3891. https://doi.org/10.3390/ijms22083891.
  7. Mendonça Araújo F., Melo DeSantana Physical therapy modalities for treating fibromyalgia. F1000Research 2019, 8:2030 ( https://doi.org/10.12688/f1000research.17176.1).
  8. Holton K. The role of diet in the treatment of fibromyalgia. Pain Manag. (2016) 6(4), 317–320.

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