La relazione tra nutrizione e salute mentale è un campo di ricerca in rapida crescita. Numerosi studi scientifici ne hanno esaminato i vari aspetti e hanno scoperto che quello che mangiamo influisce in modo significativo sul nostro buon umore, sul controllo dell’ansia e sul mantenimento di buone capacità cognitive e mnemoniche.
Disturbi alimentari
Una dieta per la mente: quanto è importante ciò che mangiamo per la salute mentale?
5 Dicembre 2023 | a cura di Alessandro Rotondo*
La frase attribuita al filosofo tedesco Ludwig Feurbach e divenuta celeberrima “Siamo ciò che mangiamo”, esprimeva già nell’Ottocento il concetto che il cibo che ognuno di noi consuma in qualche modo ci caratterizza e ci determina. La struttura e le funzioni cerebrali dipendono, infatti, dalla disponibilità di nutrienti appropriati, soprattutto glucosio, ma anche grassi, vitamine e minerali. È quindi logico pensare che la qualità del cibo che assumiamo abbia un impatto diretto sul buon funzionamento del cervello.
Quest’ultimo è condizionato, oltre che dall’azione diretta di specifici nutrienti, anche dalla composizione e funzionalità del microbiota intestinale che sono, in gran misura, espressione di una dieta corretta.
Abbiamo già visto in un precedente articolo come il microbiota intestinale abbia un’influenza sul cervello attraverso il cosiddetto “asse intestino-cervello”. Questo asse è una via di comunicazione bidirezionale che consente al microbiota di influenzare la funzione cerebrale e il comportamento. Infatti, il microbiota è coinvolto nella produzione di neurotrasmettitori come il GABA e la serotonina, che sono coinvolti nella regolazione dell’umore.
Lo squilibrio nel microbiota intestinale porta alla disbiosi, una alterazione della flora batterica che si rivela con la prevalenza di batteri nocivi su quelli buoni e che modifica la permeabilità della parete intestinale, determinando, infine, proprio la cosiddetta “sindrome dell’intestino permeabile”. Ciò porta all’immissione nel circolo sanguigno di sostanze nocive responsabili di un processo infiammatorio cronico che è stato associato a disturbi mentali quali depressione, ansia, e persino autismo e morbo di Alzheimer.
Partendo da questi presupposti, è emerso negli ultimi anni un nuovo campo di ricerca, la “Psichiatria nutrizionale” (1,2), che offre prospettive promettenti nell’identificazione dei cibi utili per la salute mentale e degli interventi nutrizionali efficaci nella prevenzione e nella cura dei disturbi psichiatrici.
Ma quali sono i nutrienti necessari per un buon funzionamento del cervello e per il benessere del microbiota?
Nei nostri stili di vita, soprattutto nell’area mediterranea, si sta sviluppando gradualmente una cultura alimentare sempre più rivolta all’attenzione verso la qualità dei cibi, alla stagionalità dei prodotti, al consumo sostenibile (1,2). A livello mondiale si affronta il problema alimentare sia dal punto di vista della salute che da quello della diversità e disponibilità effettiva di cibo. Ma poiché siamo fin troppo informati e non sempre è facile fare delle scelte oculate, c’è da chiedersi quanto davvero conosciamo la materia “cibo” e quanto siamo realmente consapevoli di ciò che mettiamo nel carrello della spesa e poi sulle nostre tavole. Si usa l’espressione “cibo per la mente” quando si parla di cultura e di libri, ma come vedremo cibo per la mente è una frase che può essere presa letteralmente: alcuni alimenti infatti sono migliori di altri per la nostra mente.
La scienza e la medicina ci stanno fornendo molte indicazioni in proposito e qui proviamo a fare una selezione di quelli che sono sempre più considerati “cibi per la mente” e dove possiamo trovarli.
Cereali Integrali
I carboidrati complessi presenti nei cereali integrali come avena, riso integrale e quinoa, possono aiutare a stabilizzare i livelli di zucchero nel sangue, promuovendo energia costante e un microbiota intestinale equilibrato.
Frutta e Verdura
Frutta e verdura forniscono vitamine, minerali e antiossidanti che sostengono sia la salute cerebrale che quella del microbiota intestinale. Diversi studi su uomini e animali, hanno indicato che il consumo di frutta e verdura porta ad una proliferazione intestinale di batteri benefici, come Bifidobacterium e Lactobacillus, e ad una riduzione dei batteri potenzialmente dannosi, tra cui E. coli ed Enterococcus.
Noci e Semi
Questi alimenti sono ricchi di vitamine, minerali e grassi sani che supportano la funzione cerebrale, l’umore e il microbiota intestinale. Le noci sono ricche di nutrienti come fibre, acidi grassi insaturi e composti bioattivi (ad esempio, antiossidanti come i tocoferoli, polifenoli e fitosteroli) e, consumate in modiche quantità (3-4 noci al giorno), hanno un importante ruolo nel “nutrimento” del microbiota.
Acidi Grassi Omega-3
Alimenti come il pesce grasso (salmone, sgombro, aringa), le noci e i semi di lino, sono ricchi di acidi grassi omega-3, che possono contribuire a ridurre il rischio di depressione e ansia, oltre a promuovere un microbiota intestinale sano.
Proteine “Magre”
Alimenti come carni magre, pollame e proteine vegetali (ad esempio legumi e tofu) forniscono gli amminoacidi necessari per la produzione di neurotrasmettitori che regolano l’umore e supportano la salute del microbiota intestinale.
Prebiotici
Sono fibre alimentari non digeribili dagli enzimi gastrici, che assumiamo ogni giorno con il cibo, e arrivano immodificate nell’intestino (3). Qui vengono processate selettivamente da molti ceppi batterici del microbiota che posseggono gli enzimi adatti per la loro fermentazione. I prebiotici rappresentano una fonte di nutrimento dei batteri intestinali e possono avere una serie di effetti positivi per la salute dell’organismo umano. Ad esempio, l’inulina, un carboidrato non digeribile, presente nei carciofi e nella cicoria, è utile per ridurre i livelli di colesterolo e di trigliceridi, oltre che per favorire la perdita di peso e combattere la stipsi. I frutto-oligosaccaridi, polimeri del fruttosio (presenti tra l’altro nel farro, nell’orzo, nella cipolla, nelle banane e in diversi altri alimenti) migliorano la stipsi. I galatto-oligosaccaridi si trovano soprattutto nei legumi e in alcuni tipi di frutta secca e preservano anche essi la salute della flora batterica intestinale. Le proprietà salutari dei prebiotici includono anche l’inibizione della crescita intestinale di agenti patogeni e l’attivazione del sistema immunitario. Abbassano i livelli di lipidi nel sangue e prevengono l’insulino- resistenza, una delle cause del diabete. Alcuni studi dimostrano che i prebiotici hanno effetti positivi anche sulla salute mentale: riducono la reattività allo stress, l’ansia e la depressione.
Ma attenzione! Gli effetti benefici dei prebiotici cessano se non vengono assunti costantemente e in quantità congrue con la dieta. Esistono chiare evidenze scientifiche che le diete povere di fibre, come quelle tipiche della nostra società occidentale, si associano ad alterazioni anche gravi del microbiota con proliferazione di ceppi batterici patogeni e produzione di metaboliti nocivi per l’organismo (3).
Probiotici
Sono organismi vivi non digeribili, che, se assunti in quantità corrette e per un periodo di tempo adeguato, aiutano a mantenere in condizioni ottimali il microbiota intestinale e influenzano positivamente la connessione intestino-cervello (3).
Si trovano in alcuni cibi come lo yogurt, ma vengono assunti per lo più sotto forma di integratori. I probiotici più comuni includono i Lactobacillus e Bifidobacterium, ma negli ultimi anni se ne sono aggiungi molti altri e il mercato è in piena espansione. Possono regolare la biodiversità della flora microbica intestinale, impedendo il sopravvento di batteri cattivi su quelli benefici, e modulare positivamente le funzioni immunitarie intestinali. I probiotici sono stati utilizzati con un certo successo nella terapia di condizioni patologiche quali la diarrea cronica, la sindrome dell’intestino irritabile e le malattie infiammatorie intestinali (4). È stato dimostrato che la somministrazione costante di probiotici può favorire il miglioramento di ansia e depressione, può normalizzare i livelli di alcuni neurotrasmettitori e ormoni, quali la noradrenalina e i corticosteroidi, liberati in situazioni di stress, e favorire la produzione di serotonina, fondamentale per il benessere mentale (5).
Acqua
Mantenere un’idratazione adeguata è essenziale per la salute cerebrale e la salute del microbiota intestinale.
Cioccolato Fondente
Assunto con moderazione, il cioccolato fondente può migliorare l’umore e la concentrazione grazie agli antiossidanti e alla piccola quantità di caffeina e può avere anche un impatto positivo sul microbiota intestinale.
Quali sono, invece, i cibi nocivi per la Salute Mentale e del Microbiota?
Sui cibi che fanno male c’è da tempo molta più informazione. In gran parte del mondo, ormai, viene ripetuto a gran voce, dalla comunità medico scientifica, che taluni cibi fanno male e taluni modi di cottura sono deleteri, come la frittura. Ma questo non vuol dire ovviamente che poi si rinunci a consumare fritti, zuccheri e così via. Siamo infatti ancora lontani dal mettere al bando abitudini alimentari radicate, spesso frutto anche di condizioni particolari, geografiche, sociali e culturali. Tuttavia in ambito scientifico, si continuano a fare studi e a chiarire le relazioni negative fra alcuni alimenti e la salute del nostro cervello. Anche in questo caso facciamo degli esempi semplici di ciò che può danneggiare la salute mentale.
Alimenti Processati
Gli alimenti altamente processati e il fast food spesso contengono, grassi idrogenati, additivi artificiali e sale eccessivo, che possono influire negativamente sull’umore e sulla salute del microbiota intestinale.
Zucchero
Un’elevata assunzione di zuccheri semplici, come il saccarosio (lo zucchero comune), e soprattutto di alimenti e bevande processati, ricchi anche essi di ingredienti aggiunti, quali coloranti, additivi e ulteriori zuccheri, può causare cali energetici, sbalzi d’umore e danni al microbiota intestinale.
Grassi Idrogenati
Gli alimenti ricchi di grassi idrogenati, come fritture e alimenti processati, possono compromettere la funzione cognitiva, l’umore e la salute del microbiota intestinale.
Dolcificanti Artificiali
Un esempio interessante di come la manipolazione industriale degli alimenti possa influenzare negativamente la composizione e la funzione del microbiota, deriva dall’uso diffuso di dolcificanti artificiali non calorici (NAS) nelle bevande analcoliche e negli alimenti. I NAS sono composti sintetici centinaia di volte più dolci del saccarosio e quindi possono essere utilizzati in piccole quantità con un valore calorico aggiunto trascurabile. La maggior parte dei NAS viene espulsa immodificata dal corpo dei mammiferi e quindi considerata metabolicamente “inerte”, senza alcun effetto fisiologico. Questi fattori costituiscono la base per l’approvazione del loro uso. Tuttavia, l’assenza di metabolismo dei NAS da parte dell’ospite non esclude la possibilità che questi composti possano interagire con il microbioma intestinale.
Molti studi suggeriscono, infatti, che i NAS possono influenzare la composizione e la funzione del microbioma, che a sua volta può influenzare l’equilibrio metabolico dell’ospite in sottogruppi di individui. In contesti specifici possono indurre lo sviluppo di resistenza all’insulina e del diabete (6).
Alcol
Un consumo eccessivo di alcol è correlato a depressione, ansia e altri disturbi mentali e può anche alterare negativamente il microbiota intestinale.
Eccesso di Caffeina
Sebbene il consumo moderato di caffeina sia generalmente sicuro per la maggior parte delle persone, un consumo eccessivo può causare ansia e disturbi del sonno, oltre ad avere potenziali effetti negativi sul microbiota intestinale.
Anche alcune carenze vitaminiche possono compromettere il benessere mentale e provocare malattie gravi.
Si sa genericamente che le vitamine sono fondamentali per lo sviluppo di un individuo sano, ma nella conoscenza comune si è sviluppata una sorta di gerarchia delle vitamine, per cui alcune ci sono molto più familiari di altre. In realtà si sa poco sulle caratteristiche specifiche delle vitamine e su quali siano gli effetti della loro abbondanza o carenza. Nel discorso che stiamo affrontando questo aspetto non può essere trascurato e quindi facciamo qualche esempio esemplificativo (2):
- La carenza di tiamina (vitamina B1) causa il beriberi, una malattia che, oltre a gravi sintomi somatici, si associa a grave stanchezza, irritabilità, disturbi del sonno e della memoria, deficit cognitivi.
- La carenza di niacina (vitamina B3) causa pellagra, fortunatamente oggi molto rara nei paesi occidentali, che porta a depressione, disturbi del sonno, irritabilità e confusione mentale, fino alla demenza.
- La carenza di acido folico (vitamina B9) ha effetti dannosi sul neuro sviluppo del feto e durante l’infanzia. Si associa inoltre a elevato rischio di depressione anche durante l’età adulta.
- La carenza di cianocobalamina (vitamina B12) provoca affaticamento, letargia, depressione, deficit della memoria, ed è stata associata anche a mania e psicosi.
- La carenza di ergo- e cole-calciferolo (vitamina D) sembra avere un ruolo nella schizofrenia, nell’autismo e nella depressione (alcuni studi indicano che l’associazione di vitamina D e antidepressivi favorisca la remissione degli episodi depressivi) (7). Tuttavia, l’efficacia di questa vitamina nella terapia dei disturbi mentali è ancora oggetto di controversie (8).
Quindi, quale dieta scegliere?
La scienza ci viene quindi in soccorso per aiutarci a trovare un sano stile alimentare che sia adeguato al nostro organismo e che mantenga integri e in buona salute il microbiota e il cervello. Ma prima di esaminare in sintesi le diverse tipologie di diete, va chiarito che quando qui parliamo di dieta ci riferiamo al corretto apporto nutrizionale suggerito da studi verificati e non a suggerimenti o metodi più o meno miracolosi per dimagrire. Spesso si tende infatti a confondere i due piani o ignorare del tutto l’aspetto medico-scientifico della questione.
Nel considerare la scelta di una dieta, bisogna innanzitutto considerare le risposte individuali ai nutrienti che possono variare, e sebbene gli eccessi e le carenze di cui abbiamo parlato abbiano un sicuro ruolo nella genesi di molti disturbi mentali, non è del tutto chiaro quale debba essere la loro entità quantitativa e qualitativa per aumentare il rischio di malattia (2). Ciò che è più importante è mantenere una dieta bilanciata.
Qualche esempio è utile anche in questo caso per farci orientare meglio.
La dieta mediterranea, sicuramente la più bilanciata, è caratterizzata da un elevato apporto di frutta, verdura, legumi, noci, olio d’oliva e pesce, con basso consumo di carne rossa, latticini e grassi saturi. Gli effetti benefici di questa dieta per la salute, compresa quella mentale sono noti da tempo. Recenti studi sull’uomo supportano anche il benefico impatto della dieta mediterranea sul microbiota. Questa dieta induce, infatti, maggiore diversità microbica e maggiore abbondanza di “batteri buoni (ad esempio, F. prausnitzii, Roseburia, Eubacterium, B. thetaiotaomicron, Parabacteroides distasonis, Bifidobacteriumadolescentis, e Bifidobacterium longum).
Lo studio SMILES (Supporting the Modification of Lifestyle in Lowered Emotional States) ha esaminato come una dieta basata su quella mediterranea (ricca di frutta, verdura, pesce e grassi sani) possa influenzare i sintomi della depressione. I partecipanti che hanno seguito questa dieta hanno riportato una significativa riduzione dei sintomi depressivi rispetto al gruppo di controllo (9).
Le diete vegetariane sono ricche di frutta, verdura, legumi, noci e semi, ma sono prive di carne e pesce, e, nel caso delle diete vegane, anche di nutrienti di origine animale come uova e latticini. Studi che hanno confrontato la composizione del microbiota dei bambini che vivono in Burkina Faso (a dieta prevalentemente vegetariana) con quella di chi vive in Italia e consuma una tipica dieta occidentale hanno dimostrato che i bambini del Burkina Faso presentano una flora microbica più varia e ricca rispetto a quelli italiani. Negli adulti, uno studio di confronto fra il microbiota delle popolazioni che vivono nelle zone rurali dell’Africa e quello degli afroamericani ha rivelato che la dieta in gran parte vegetariana nell’Africa rurale era associata alla predominanza di batteri “buoni” nel microbiota intestinale mentre quello degli afroamericani era ricco di batteri potenzialmente patogeni, come Escherichia Coli e Acinetobacter.
Tuttavia, i dati relativi all’impatto sul microbiota delle diete a base vegetale rispetto alle diete a base animale, non sono ancora conclusivi, come evidenziato da studi che hanno rilevato una composizione microbica solo modestamente diversa tra vegani e onnivori (10). Si è anche rilevato che per alcuni individui la risposta dell’organismo ad una dieta vegana è negativa, poiché possono emergere vistose carenze vitaminiche. In qualsiasi caso, le diete vegetariane e vegane sono state associate a un ridotto rischio tumorale rispetto a quelle onnivore che presentano livelli più alti di metaboliti microbici dannosi come i derivati fenolici e indolici.
La dieta occidentale, cioè quella adottata soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in molti altri Paesi dell’emisfero occidentale, è generalmente risaputo che non sia salutare. Alla sua base ci sono, infatti, sostanze processate e altamente caloriche, ricche di grassi saturi, proteine animali, carboidrati raffinati, sale e altri additivi, con quantità inadeguate di fibre vegetali, è spesso associata a stati patologici, inclusa la depressione, e porta più facilmente alla disbiosi.
Il consumo a lungo termine di una dieta di tipo occidentale determina una marcata riduzione della flora intestinale sana, diminuisce la diversità batterica e genera un microbiota con predominanza di batteri nocivi.
Conclusioni
Stiamo entrando in un’era in cui è possibile influenzare sempre di più la salute fisica e mentale attraverso il cibo e i suoi effetti sul metabolismo e i microrganismi con cui conviviamo. Pertanto, una dieta di alta qualità può aiutare a regolare il microbiota intestinale e ridurre lo stress e l’infiammazione nel cervello mantenendo una corretta attività cognitiva ed emozionale (1,2). Ad esempio, interessanti suggerimenti dietetici utili a prevenire la degenerazione mnemonica e cognitiva associata alle demenze (che sono la sesta causa di morte negli Stati Uniti) si possono trovare in uno studio statunitense ancora in corso.
Tuttavia, se è chiaro che la dieta ha un potenziale impatto sulla salute mentale, molti meccanismi che ne sono alla base devono ancora essere chiariti (10) e diversi ostacoli devono essere superati. Per essere in grado di indicare diete efficaci per la salute mentale, è necessario comprendere meglio diversi aspetti:
- come la dieta influenza i processi metabolici nell’intestino e nell’organismo in generale;
- i meccanismi molecolari con cui invia i suoi segnali al cervello;
- come la dieta influenza i livelli di metaboliti nel sangue e negli organi bersaglio;
- come le cellule e le reti cellulari e neurali) rispondono;
- come il background genetico individuale“personalizza” l’influenza della dieta sulla salute mentale.
In ogni caso è bene tenere presente che non bisogna mai sottovalutare l’impatto del cibo sulla nostra salute e che stare a tavola in modo consapevole non può che essere positivo per il nostro benessere complessivo.
PER APPROFONDIRE
- J. Sarris et al.: Lancet Psychiatry (2015); 2:271-274.
- Roger A. H. Adan et al.: European Neuropsychopharmacology (2019); 29:1321–1332.
- Ji Youn Yoo 1 and Sung Soo Kim: Nutrients (2016); 8:173.
- Kirsten Berding et al.: AdvNutr (2021);12:1239–1285.
- Sunny Kumar et al.: The Role of Nutraceuticals in Preventing and Managing Mental Disorders. In: Functional Food Textbook Vol 7: Functional Foods and Mental Health (2019); pp.50-71, Publisher: Food Science Publisher, USA.
- Jotham Suez et al.: Gut Microbes (2015); 6(2):149-155.
- Paul P. Lerner et al.: Clin Nutr ESPEN. (2018); 23:89-102.
- Ingrid Wickelgren: Scientific American online March 13, (2023); Vitamin D Supplements Probably Won’t Prevent Mental Illness After All.
- Felice N. Jacka et al. : BMC Med (2018); 16(1):237
- Kirsten Berding et al.: AdvNutr (2021);12:1239–1285
- Mary Scriven et al.: Diseases. (2018); 6(3):78.
* Si ringrazia Rossella Livigni per i preziosi consigli durante la stesura dell’articolo e la sua revisione.
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